Quei diavoli di derivati by Nicholas Dunbar

Quei diavoli di derivati by Nicholas Dunbar

autore:Nicholas Dunbar
La lingua: ita
Format: mobi, epub
editore: Egea
pubblicato: 2012-08-25T10:08:02+00:00


L’accordo è morto, lunga vita all’accordo

Pur sfruttando nuovi strumenti finanziari, come i credit default swaps, per aggirare le regole di Basilea, le grandi banche, incluse J.P. Morgan e Credit Suisse, erano abbastanza avvedute sul piano politico da offrire ai regolatori una giustificazione intellettuale per cambiare le regole. Se le attività che portavano avanti con gli special-purpose vehicles (SPV) e con i derivati facevano salire il limite di velocità a cui «viaggiavano», quell’incremento di «velocità» poteva essere giustificato dalle loro nuove tecnologie. Queste banche affermavano che le nuove tecnologie consentivano loro di vedere la realtà economica in maniera tale da eludere le superate prescrizioni dei regolatori federali. E l’approccio con cui affrontavano questa «realtà» era l’utilizzo di modelli matematici dei portafogli di credito.

Il messaggio era che, come per il valore a rischio (VAR), c’era un sistema radar basato sulle informazioni di mercato che i regolatori dovevano prendere in considerazione e utilizzare. Le banche reclamavano la libertà di usare le proprie valutazioni sull’affidabilità dei clienti nel calcolo delle riserve di capitale (in altre parole, pretendevano che fosse la politica di credito della banca a determinare il limite di velocità per un dato settore di finanziamenti). Per quel portafoglio specifico di clienti le banche dovevano ottenere il beneficio diversificatorio di un’attenuazione dei requisiti di disponibilità del capitale (o, per dirlo in un altro modo, un limite di velocità più elevato per l’intera banca) rispetto alle previsioni dei modelli.

Con la benedizione – e il supporto ideologico – di Greenspan, le grandi banche ottennero rapidamente l’approvazione di questo cambiamento da parte della Fed. Ma il grande premio consisteva nella possibilità di trasformare i derivati e la cartolarizzazione in una catena di montaggio: l’obiettivo era aiutare le banche di minori dimensioni a sfruttare la tecnologia per alleggerire i loro bilanci, e riconfezionare i loro prestiti in CDO garantiti dalla tripla A che potessero essere venduti a investitori che-odiano-perdere. I dealer sapevano tuttavia che i regolatori europei non si sarebbero lasciati impressionare facilmente da questa proposta se le banche e i loro consulenti si fossero impegnati in una schermaglia intellettuale sui relativi meriti dei rispettivi modelli. Ecco perché nel 1998 cercarono di costruire un consenso. Come redattore tecnico di una rivista specializzata, sono stato coinvolto direttamente e ho pubblicato uno studio di due consulenti della Oliver Wyman in cui si dimostrava che tutti i modelli del portafoglio di credito erano matematicamente identici quando si riducevano alla loro forma più semplice.7

In quello stesso mese di settembre, al convegno del Barbican, scoprii che i banchieri, i consulenti e i lobbisti del settore bancario che reclamavano nuove regole avevano l’appoggio di un peso massimo. Un pacato e occhialuto economista della Federal Reserve di nome Michael Gordy aveva scritto un ponderoso studio le cui conclusioni erano identiche a quelle dell’articolo che stavo per pubblicare.8 Era uno dei pochi analisti degli enti regolatori che venivano trattati alla pari dagli analisti delle banche d’investimenti. L’articolo dei consulenti della Oliver Wyman e lo studio di Gordy impedivano ai regolatori più conservatori di negare l’esistenza di uno schema intellettuale coerente per la riforma delle vecchie regole.



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